Quando un frutto locale diventa un lusso inaccessibile
Di Italiano alle Canarie
Il prezzo del platano nelle Isole Canarie continua a salire, spinto da una serie di fattori concatenati: l’aumento dei costi di produzione, condizioni climatiche sfavorevoli e un calo significativo della produzione. Una dinamica che rischia di trasformare uno dei simboli identitari dell’arcipelago in un prodotto di nicchia.
Frasi come “il platano ormai è inaccessibile” o “comprare platani è un lusso” si moltiplicano tra i consumatori, sorpresi di fronte a cartellini che segnano quasi 3 euro al chilo in alcuni punti vendita. Questo paradosso: rischia di far restare il frutto locale invenduto sugli scaffali.
I produttori al collasso.
“I plataneti sono stati letteralmente sull’orlo dell’estinzione”, ha dichiarato Ángela Delgado, presidente di Asaga-Asaja Canarias. Molti agricoltori, sommersi da debiti e perdite economiche, hanno rinunciato alla coltivazione. Negli ultimi due anni, il prezzo del platano non è bastato nemmeno a coprire i costi di produzione. “Si vedono molte fincas in vendita. I produttori le stanno abbandonando: una scena mai vista prima”, denuncia Delgado.
Produzione in calo e prezzi in rialzo.
Il rialzo dei prezzi è legato alla diminuzione dell’offerta. Si è passati da 8,5 milioni di chili settimanali spediti alla penisola a 6,5 milioni, con un crollo significativo della produttività.
Le cause sono molteplici: un inverno insolitamente “freddo e piovoso” (ma siamo pur sempre ai tropici) ha rallentato lo sviluppo delle piante. Il clima ideale della platanera è subtropicale: più caldo significa più frutti in meno tempo. L’anno precedente, invece, la siccità aveva portato a un eccesso di produzione, con conseguente crollo dei prezzi.
Anche la banana non consola
La banana, storica concorrente del platano canario, non si trova in condizioni migliori. Il suo prezzo è salito da 0,70 €/kg a 1,30 €/kg, a causa della riduzione dell’offerta internazionale.
Costi di produzione fuori controllo
Non si può continuare ad attribuire al clima “poco benevolo” la causa principale del caro-platano. Al contrario, il suo impatto appare marginale se confrontato con la vera origine dell’impennata dei prezzi: una sommatoria di aumenti strutturali e sistemici che incidono ben più pesantemente sulla filiera. I fertilizzanti hanno raddoppiato i prezzi, la manodopera continua a rincarare, i costi energetici e logistici restano elevati. È questo blocco di voci, e non qualche grado in meno o qualche giorno di pioggia in più, che pesa realmente sul prezzo finale del prodotto.
“Chi prima riceveva appena 30 o 40 centesimi al chilo, oggi dovrebbe poter contare su almeno 1,50–1,70 euro/kg”, afferma Delgado, sottolineando che solo così si può evitare il collasso del settore.
Un contesto complesso che va letto nel più ampio quadro della frutticoltura globale, dove i produttori locali sono schiacciati tra l’instabilità dei mercati e l’aumento dei costi.
La questione fiscale e doganale.
A incidere ulteriormente è la mancanza di concorrenza reale nel mercato locale: l’offerta limitata consente a pochi operatori di imporre i prezzi, senza alternative reali per il consumatore. In penisola, invece, la varietà di forniture e la concorrenza tra rivenditori mantengono i prezzi più bassi.
Un’altra variabile cruciale è il regime fiscale e doganale speciale delle Canarie. L’arcipelago, pur facendo parte della Spagna e dell’UE, è escluso dal territorio doganale europeo e dall’IVA comunitaria. Questo status speciale, pensato per compensare l’insularità, oggi appare sempre più come un ostacolo logistico e commerciale.
Il paradosso è evidente: una dogana interna dentro lo stesso Stato, che invece di agevolare, penalizza la vita quotidiana di cittadini e imprese. Invece di armonizzare e semplificare, il sistema attuale appesantisce burocrazie e costi.
Il paradosso agricolo.
Ma l’aspetto più assurdo riguarda l’agricoltura locale. Prodotti coltivati nelle Canarie — come platani, pomodori, patate o avocado — arrivano a costare meno nei supermercati della penisola che non nei mercati isolani.
Una distorsione che smaschera il fallimento di un sistema incapace di proteggere le proprie filiere, incentivando addirittura l’esportazione rispetto alla vendita locale. Invece di colmare la distanza tra arcipelago e continente con l’innovazione e la logica europea, si continua a operare secondo normative obsolete e una burocrazia miope.
Conclusione.
Infine, la mancanza di trasparenza nella catena di distribuzione e la debolezza dei controlli contribuiscono ad alimentare un sistema inefficiente e iniquo. Una regolamentazione più incisiva e una volontà politica concreta sarebbero essenziali per tutelare produttori e consumatori.
Questo mix di fattori — dogana interna, filiera opaca, costi elevati, concorrenza limitata e distorsioni distributive — non fa che aggravare il peso su un’economia canaria già duramente provata.
Se non si interviene con misure strutturali e coraggiose, il rischio è assistere al lento svuotamento della produzione locale, con gravi ripercussioni economiche, sociali e identitarie per tutto l’arcipelago.