Il 2 dicembre è entrato in vigore il Real Decreto 993/2021, una normativa che obbliga strutture ricettive, agenzie di viaggio, piattaforme di alloggio, aziende di noleggio veicoli e case rurali a raccogliere fino a 64 dati per cliente. Tra le informazioni richieste figurano dettagli personali, bancari e persino rapporti di parentela. La misura, giustificata dal Ministero dell’Interno come necessaria per la sicurezza nazionale, rappresenta un’espansione significativa rispetto ai precedenti requisiti, che prevedevano solo 14 dati.
Le critiche del settore turistico e delle associazioni
La norma ha subito incontrato l’opposizione del settore turistico. La Confederazione degli Hotel (Cehat) e le principali associazioni di agenzie di viaggio hanno denunciato una possibile violazione delle normative europee sulla protezione dei dati, oltre che della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che tutela la privacy e limita la raccolta indiscriminata di informazioni personali.
Secondo la Cehat, l’accumulo di dati imposti dal decreto non solo non migliorerà la sicurezza, ma potrebbe esporre il settore a cyberattacchi e ad abusi. Inoltre, il rischio di pesanti sanzioni economiche, fino a 30.000 euro, grava su un comparto già fragile e provato dalla pandemia.
Le associazioni lamentano anche la totale mancanza di dialogo con il Governo. Il sovraccarico di dati, sostengono, potrebbe addirittura ostacolare l’obiettivo dichiarato della misura, aumentando la complessità amministrativa senza reali benefici per la sicurezza.
I numeri del Ministero: 18.000 identificazioni
Dal canto suo, il ministro dell’Interno Fernando Grande-Marlaska difende strenuamente il provvedimento, sottolineandone l’impatto positivo sulla sicurezza.
La raccolta massiva di dati, afferma, ha già permesso di identificare 18.000 persone segnalate, contribuendo a contrastare attività criminali e a garantire maggiore protezione ai cittadini.
Marlaska insiste sulla necessità di un equilibrio tra sicurezza e diritti individuali, definendo il decreto come uno strumento fondamentale per il settore turistico e l’economia spagnola.
Il ministro ha respinto con forza le accuse di trasformare la Spagna in uno “Stato di polizia” o di trattare i turisti come potenziali delinquenti, sottolineando che il Paese rimane tra i più sicuri al mondo.
Tuttavia, il suo discorso non è bastato a placare le critiche di chi vede nella normativa una deriva autoritaria, con potenziali ripercussioni sulla reputazione del turismo nazionale.
Un compromesso difficile
Il decreto, in un momento di forte competizione turistica internazionale, rischia di rappresentare un boomerang per un settore già sotto pressione.
La possibilità di ricorsi legali da parte delle associazioni e di un intervento delle istituzioni europee rende il futuro della normativa tutt’altro che certo.
Nel tentativo di conciliare esigenze di sicurezza con il rispetto dei diritti fondamentali, il Governo sembra aver scelto una strada che potrebbe finire per alienare il consenso sia degli operatori del turismo che dei cittadini.
La questione resta aperta, sollevando interrogativi su quale sia il giusto equilibrio tra protezione e libertà.
Di Italiano alle Canarie