Incendio a La Palma: uno tra i peggiori del secolo
di Stefano Ferilli
In poco meno di 72 ore La Palma ha visto andare perduti 3500 ettari in quello che è stato definito come il quinto peggior incendio del secolo dell’arcipelago canario ma il secondo il termini di perdite di vite umane.
Negli ultimi 16 anni il fuoco ha bruciato 62.119,41 ettari di terreno boschivo alle Canarie nel corso di ben 1723 incendi che hanno devastato l’arcipelago.
E il 93% della superficie andata perduta riguarda il solo periodo tra il 2000 e il 2015.
In particolare ben 35.758,62 ettari sono stati bruciati nell’anno peggiore di sempre, il 2007, quando un grande incendio divampò a Gran Canaria e a Tenerife, provocando l’evacuazione di 14.000 persone dalle proprie abitazioni.
Il recente incendio a La Palma è costato la vita ad un pompiere ma nell’incendio del 1984 a La Gomera furono 20 le persone a morire, tra le quali il governatore di Santa Cruz de Tenerife Francisco Javier Alfonso.
Quello dell’incendio è un evento purtroppo molto ricorrente nell’arcipelago, laddove l’alta temperatura estiva, la bassa umidità e la presenza della ventana, un vento forte e costante, preparano le condizioni ottimali affinché gesti sconsiderati o incoscienti si trasformino in vere e proprie tragedie ambientali e umane.
A causa delle temperature elevate del periodo, il Gobierno de Canarias ha attivato nel mese di giugno 2016 il Plan de Proteción Civil e la Atención de Emergencias por Incendios Forestales, misure di pronto intervento in caso di incendio al fine di limitarne la propagazione.
Ma il vero punto è, come sempre, il comportamento dell’uomo.
L’autocombustione, giusto per aprire un noto dibattito sugli incendi boschivi, è un evento molto particolare e raro che si verifica nell’1% dei casi di incendio.
Si parla di autocombustione quando il fieno ammucchiato umido si surriscalda per effetto dell’ossidazione dei suoi componenti, idrocarbonati; il surriscaldamento predispone lo sviluppo di una flora batterica termofila che produce temperature piuttosto elevate (fino a 70 gradi) che, a contatto con l’ossigeno e in presenza di grande quantità di sostanze organiche, può causare l’incendio.
Anche un fulmine rientra in quell’1%: se durante una tempesta un fulmine colpisce un albero bagnato incendiandolo, il fuoco può arrivare a propagarsi se i materiali circostanti lo consentono (sterpaglie, cespugli, cartacce lasciate abbandonate).
E arriviamo all’autocombustione per rifrazione dei raggi solari: possiamo chiamarla veramente autocombustione quella che si genera per mezzo di cocci di bottiglia trasformati in lenti, lasciati tra le sterpaglie dall’uomo?
Nel 99% dei casi gli incendi hanno una sola matrice: quella umana.
Che sia ignoranza (come l’erronea credenza che bruciare le sterpaglie ne prevenga la riformazione), che sia incoscienza o mancanza di rispetto (lanciare il mozzicone di sigaretta dal finestrino), che sia stupidità (bruciare della carta igienica in un bosco) o che si tratti di vero e proprio intento criminale, l’uomo è sempre direttamente responsabile dell’incendio.
A scherzare con il fuoco, a lungo andare, ci si brucia.
E nell’arcipelago, oltre alle vite umane, si sono bruciati tasselli importanti di quella che è stata considerata all’unanimità biosfera patrimonio dell’umanità.
Il paradosso è che chi esalta la bellezza e l’unicità di un posto è della stessa specie di colui che ne determina la scomparsa. Per sempre.