di Paolo Gatto
Abbiamo visitato il territorio di Amatrice devastato dal terremoto giovandoci dei consigli di Massimiliano Metri, restauratore per i Beni Culturali impegnato nella ricostruzione de L’Aquila, che è doveroso ringraziare. Con lui avevamo programmato un tour dettagliato. Purtroppo, sin dall’inizio del nostro incontro nei luoghi del sisma, un imprevisto burocratico lo ha assorbito per l’intera giornata. Ogni programmazione è pertanto saltata e abbiamo dovuto cavarcela da soli…
L’idea di “andare a vedere”, di non accontentarsi dei pur lodevoli comunicati stampa delle istituzioni e dei resoconti altrui è nata a terremoto ancora caldo se così si può dire. Il motivo? Quello di venire incontro ad un’esigenza che abbiamo subito percepito e che accomuna ancora tutti i terremotati di questa recente sciagura nazionale: la paura dei sopravvissuti di essere dimenticati, col passare del tempo, dai media, prima, e subito dopo dalle istituzioni. La paura che con questo abbandono si protragga oltre il necessario il calvario dell’attesa di soluzioni concrete e che si allunghi la lista delle insidie burocratiche, delle richieste inevase, delle incomprensibili, tarde risposte accompagnate da collaudati balletti di responsabilità, o di irresponsabilità, con i tradizionali scaricabarile, coi teatrini oramai di routine nei quali la scena madre prevede che chi potrebbe provvedere alla fine allarga ritualmente le braccia, inerme e incolpevole, in segno di resa. Così, piano piano, ti trovi per anni ed anni a vivere, per colpa del destino ma anche della burocrazia non solidale e non amica, la frustrante e rassegnata vita dello sfollato coi vecchi che nel frattempo scompaiono uno ad uno, coi ragazzi che crescono tra mille problemi e difficoltà lontani dalle loro radici e cogli adulti che tirano avanti una vita “pesante” tra l’amarezza e un confuso senso d’identità nel complesso sfuggente, debole, incerto.
L’area del terremoto dello scorso agosto è vasta e comprende alcune zone del Centro Italia: parte del Lazio, dell’Umbria e delle Marche. Noi siamo stati nella zona di Amatrice, cittadina ai confini tra Lazio e Abruzzo nota in tutto il mondo per l’eccellenza di una sua pietanza, gli spaghetti all’Amatriciana.
Amatrice comprende ben 71 frazioni. Tutti i sopravvissuti valutano positivamente i primi soccorsi e condividono il timore per l’eventualità del successivo abbandono. Non tutte le strade che conducono ad Amatrice sono ancora agibili. Quelle riaperte sono velocemente percorse dai mezzi della Protezione Civile, dai Vigili del Fuoco e dai vari Corpi delle Forze dell’Ordine provenienti anche da altre regioni. Nelle vie delle frazioni ormai vedi pochi civili. Vi si aggirano prevalentemente gli addetti ai servizi. A volte capita di incontrare i residenti delle seconde case, i meno sfortunati, in tanta sventura, se non hanno avuto vittime tra i congiunti e gli amici. I morti sono stati nel complesso circa 300 (297) e a vederne le foto che li ritraggono così pieni di vita, alcuni giovanissimi, ti si stringe il cuore. Anche gli edifici sbriciolati o accasciati su se stessi come corpi colpiti a morte sembrano aver avuto anima e vita improvvisamente disintegrate a tradimento dalla potenza esplosiva della natura appena appena preannunciata da tremendi boati nell’indimenticabile notte del 24 agosto 2016. A volte scorgi minuscole tendopoli vicine agli edifici crepati nelle quali trascorrono in sicurezza la notte coloro che prima li abitavano. Proseguendo nell’entroterra t’imbatti in tendopoli su tendopoli con bandiere e insegne multicolore nuove di zecca in cui si aggirano solo uomini e donne in divise di varie fogge e colori. Lo smantellamento delle tende si dà per imminente. L’inverno è lontano ma quando arriva il termometro può scendere persino fino a 20 gradi sotto lo zero. Ogni tanto la terra ha brevi sussulti che scuotono le macerie e smuovono un po’ di polvere. L’economia, fatta in prevalenza di piccoli allevamenti e turismo, è ancora ferma.
Nelle strade delle frazioni si ascoltano gli ultimi aggiornamenti su morti e feriti. Si parla anche di quel cadavere di un italiano finito per errore in un cimitero rumeno perché trovato in casa di una coppia rumena il cui marito quella notte era fuori per lavoro. Oppure dei milioni di euro nascosti nell’abitazione di un gioielliere e subito contesi dagli eredi nell’Ascolano. Ci sono ancora allevatori che chiedono notizie sulle loro mucche date per disperse. Nelle strade si aggira triste e pensoso qualche cane con espressione consapevole delle sofferenze che gli stanno intorno, membro a tutti gli effetti della comunità. Nei campi puoi vedere animali isolati che non capisci se sopravvissuti senza padrone o in qualche modo governati. Alcuni hanno sguardi da choc, come se avessero visto l’inferno. Riportiamo nelle foto di questa pagina una parte di ciò che abbiamo visto. Con l’intento di tenere vivo l’interesse per tutti i sopravvissuti di questo terremoto. Con l’intento e la volontà di non dimenticarli.