di Danila Rocca
Ieri, cianciando con un’amica che poi tanto amica non è, si parlava dell’Italia, della crisi, tuo marito che faceva, io non ce l’ho, ho una discreta pensioncina, qua ci si vive, e poi via di critiche per il nostro Paese, noi così disamorate di certi suoi aspetti e così fortunate ad esserci nate, con la sua storia, le sue Chiese, i monumenti, i dialetti e il cibo divino, e le sue autostrade carissime che portano in luoghi meravigliosi. Dicono che bisogna perderla una cosa per apprezzare il fatto di averla avuta. Noi la stiamo perdendo l’Italia, e con essa la speranza di risorgere dalle sue ceneri. Alla mia amica dico “Dì ma te la pagheranno sempre la pensione?” tanto per vederla agitarsi. “Ma non dirlo neanche per scherzo!” e caccia fuori due occhi così. Figurati, la quieto, per quella strada ci passo anch’io. Mancherebbe. E intanto davanti mi passano le estati in montagna, al mare, gli inverni piovosi e la neve che imbiancava la piazza, e respiro quest’aria che mi ha spazzato via l’asma, che mi ha placato un pochino il dolore per la mamma che mi ha lasciato da poco, e penso che chi vuole godersela l’Italia, o deve per forza, va bene, io son qui, un po’ in Italia un po’ Tenerife, e mica mi spiace che ci sia sempre bel tempo, che siamo lontani da casa, che le zanzare le ho lasciate nel giardino che avevo, e anche la mia barboncina ringrazia, e mangia di brutto, e passeggia con me godendosi l’aria di mare. Ieri, la mia amica che poi tanto amica non è, parlava dell’Italia con infinita nostalgia, le ho detto, ma non siamo profughi, scusa, ce ne torniamo quando si vuole. Lei è così, lamentosa. La lascio che vorrebbe mangiarsi i tortelli. Uffa. Vado a casa, sono le sette di sera. Stasera pesce e verdure. Si mangia all’isolana. Non ci si lagna. E si impara che la vita è bella. Ovunque. Ma qui anche un filino di più.