argument-238529_1280Le regole per sostenere una discussione (senza che degeneri)

di Ilaria Vitali

Sostenere una discussione accesa spesso ci rende molto simili agli animali.

Il cervello infatti entra letteralmente nella modalità “lotta” o “fuga”, la frequenza del battito cardiaco si intensifica e il ragionamento e la logica sfuggono di mano.

Si finisce così per dire cose di cui ci si pente un attimo dopo, di perdere nel sostenere in malo modo le proprie argomentazioni o addirittura di arrivare alle mani.

L’arte della discussione va presa sul serio.


Regola numero uno: non dite mai a qualcuno che sta inveendo contro di voi di rimanere calmo!

È la regola base dei negoziatori di ostaggi, ovvero mai negare i sentimenti dell’altra persona.

Un interlocutore che esprime risentimento e alza la voce è ovvio che non è affatto calmo!

Dirgli “stai calmo” assegna immediatamente un’emozione negativa al suo comportamento, che sia di rabbia, di ansia o di testardaggine.

La mancanza di empatia in questo senso può essere dannosa e controproducente.

Quindi la regola primaria è: ascoltate, lasciate parlare.

Regola numero due: lasciate sfogare.

Lasciare sempre l’interlocutore libero di sfogarsi, non importa se ad alta voce e per quanto tempo.

Il livello emotivo in questa fase è molto alto quindi tiratevene fuori, mantenete la calma ed evitate di impantanarvi in un turbine di agitazione inutile.

Trattenetevi, ascoltate, pur nel disaccordo perché ascoltare non significa dare ragione.

Ascoltare in silenzio spiazza l’interlocutore che, passato lo sfogo, abbasserà a sua volta il suo livello di emotività.

Regola numero tre: non fingete empatia.

I negoziatori dell’FBI conoscono molto bene questa regola.

Fingere empatia dicendo “oh, ciò che provi è maledettamente giusto”, significa far pensare all’altro “ok, stai cercando di mettermi un tappo in bocca dandomi ragione senza pensarlo”.

Lo scopo è di portare la discussione verso una vera comprensione, utilizzando parafrasi.

Capire cosa l’altro sta argomentando è cercare un punto in comune da cui far partire la fase di riconciliazione (se è possibile).

La cosa peggiore da fare in questa fase è di dire all’altro come si deve sentire ed è la regola numero quattro.

Suggerire al proprio interlocutore cose come “dovresti essere meno arrabbiato!” equivale a dargli un giudizio negativo.

Questo modo di agire viene chiamato sottrazione di empatia che diminuisce o distorce ciò che l’altro ha appena detto.

Invece di giudicare come si sente, molto meglio tentare con “sembri piuttosto arrabbiato rispetto a questa cosa. Non mi sembra giusto, mi dispiace”.

Questo si chiama addizione di empatia e porta la discussione ad un livello più soft.

Regola numero cinque: non dite a qualcuno cosa deve fare.

Quando si attiva la risposta di lotta o di fuga, il potere diventa cruciale. Dire a qualcuno cosa deve fare, significa impossessarsi del potere togliendoglielo in una mossa, significa farlo sentire meno intelligente e meno autonomo, quindi molto più risentito.

Ricordate: dovete arrivare ad una conciliazione non ad un pestaggio!

Vincente sarebbe invece dire: “cosa vorresti che io facessi?”.

Il livello di emotività scende vertiginosamente e dimostrate di essere disposto a incontrarlo a metà strada, allontanando dalla mente ogni genere di conflitto e avvicinandovi al compromesso logico.

Infine, regola numero 6, non forzate la risoluzione.

Non sempre le discussioni si possono risolvere.

Benché possa sembrare deprimente, in realtà questa scoperta è liberatoria!

Una volta che realizzate che non esiste e non esisterà mai un punto di incontro, andate oltre.

Convincere un sasso che si sente un fiore di essere in realtà un sasso è spesso uno spreco inutile di tempo ed energia, nonostante il nostro cervello lo viva come un conflitto in cui combattere fino alla fine.